Si fa un gran parlare di moda sostenibile e iniziative eco-compatibili per i consumi, e in qualche modo vestirsi con coscienza è diventato più facile. Al contempo, non sono poche le persone che ordinano online e restituiscono i capi dopo pochi giorni: si ordinano più capi del dovuto, si fa l’unboxing del pacco su Instagram, e poi si restituisce quasi tutto. Negli Stati Uniti, lo ammette il 33% di chi fa parte della Generazione Y. La pratica si chiama wardrobing, e come contropartita porta molti rivenditori ad aumentare i prezzi per coprire i costi dei resi.
Qualcuno corre ai ripari. Sia ASOS che Harrods hanno attivato un sistema di blacklist e disattiveranno qualsiasi account che adotta uno schema insolito di attività di reso. La startup MyVerte sta introducendo una valutazione in stile Uber basata sull’attività di reso di ciascun consumatore. Se qualcuno restituisce troppi articoli, il suo rating scenderà e i marchi che non vogliono gestire alcuna restituzione possono arrivare addirittura a bloccarlo.
Come in tanti altri contesti, come il viaggio, la sostenibilità e la trasparenza stanno diventando fattori chiave per lo shopping online – e vale anche per i resi e gli imballaggi che rispettano l’ambiente. Anche Amazon ha iniziato a bloccare alcuni clienti che abusavano della sua politica di restituzione. Ciò va di pari passo con l’evoluzione della tendenza generale verso la moda green e il relativo lancio di nuovi prodotti.
Ad esempio, se date un’occhiata alla sua comunicazione, il brand di scarpe neozelandese Allbirds è orgoglioso del proprio impegno ambientale e consapevole della comunità che ha intorno. Allo stesso modo, l’australiana Outland Denim è stata nominata tra le aziende di moda più sostenibili al mondo. O ancora, il progetto di moda sostenibile made in Europe Iluut – ideato da tre ragazze di tre diversi paesi (Italia, Finlandia e Gran Bretagna) unite dalla volontà di creare capi belli, etici e a prezzi accessibili.
E ancora: di recente IKEA ha aperto il suo primo negozio sostenibile a Greenwich, Londra; il marchio di bellezza RMS Beauty ha iniziato a confezionare i suoi prodotti quasi interamente con il vetro, anzichè con la plastica – e Plaine invece con l’alluminio. Nel settore alimentare, AlterEco ha invece lanciato la sua gamma di involucri compostabili.
Ma oltre alle soluzioni più ovvie, come preferire materiali riciclati e riciclabili per il packaging, i brand possono ingegnarsi ulteriormente. Loop ha collaborato con P&G per offrire un approccio a rifiuti zero: la piattaforma offre ordini in imballaggi personalizzati e durevoli, progettati per essere riutilizzati. Fornisce inoltre merci in appositi contenitori, piuttosto che in confezionamenti tradizionali, riducendo gli sprechi.
Il noleggio sta emergendo anche nel settore moda. Date un’occhiata, per esempio, alla piattaforma peer-to-peer By Rotation, che consente agli utenti di noleggiare solo ciò di cui hanno bisogno e di prestare quello che non usano di frequente. Un affitto in piena regola.
Un altro modo per combattare gli sprechi (e i resi) è trovare il modo di far trovare – e provare – un prodotto giusto alle persone. Nike sta lanciando un servizio di scansione dei piedi, Nike Fit, che secondo TechCrunch utilizza una “combinazione proprietaria di computer vision, scienza dei dati, apprendimento automatico, intelligenza artificiale e algoritmi di raccomandazione per trovare la giusta misura“. Allo stesso tempo, il programma di styling virtuale di Levi’s usa un chatbot intelligente che aiuta i clienti a trovare il perfetto paio di jeans: progettato con tecnologia TrueFit, considera diversi fattori – come la forma delle gambe – per restituire le migliori raccomandazioni possibili.
Nel frattempo, sono soprattutto le realtà più piccole a muoversi con più agilità, anche in settori inaspettati, come quello del vino – Garcon Wines offre bottiglie di vino piatte ecologiche – e dell’acqua – Just Water confeziona l’acqua nella carta, con i tappi di canna da zucchero.