È sempre la stessa storia, lo sappiamo: ogni giorno siamo sottoposti da migliaia di annunci pubblicitari. Ovunque, dalla TV, ai social media, fino ai cartelloni pubblicitari in metro. Siamo in un’epoca dove inchiodare la propria identità visiva non è mai stato così importante per i brand. Oggi, ispirati dalla polemica intorno al logo del nuovo partito di Matteo Renzi, cerchiamo di capire insieme che tipo di immagini sono più efficaci per attirare l’attenzione e per veicolari in modo corretto i propri valori.
Intanto, come sempre, partiamo dal contesto: siamo in un momento storico che registra da un lato aspettative sempre più crescenti in merito alla responsabilità sociale delle imprese, e dall’altro lato l’incremento delle occasioni e degli spazi per le critiche dei consumatori in Rete. Da qui, comunicare in modo trasparente l’identità del proprio brand non è mai stato così cruciale: i loghi hanno assunto un ruolo interessante in questo panorama. E mentre alcuni marchi utilizzano un design originale per distinguersi, in alcuni settori, le firme sono state standardizzate. È il caso, ad esempio, dei loghi di aziende di alta moda tra cui Balenciaga, Celine, Balmain e Burberry, che negli ultimi anni hanno preferito un font sans-serif simile.
Questo tipo di evoluzione convergente sta diventando popolare nell’era di Instagram, e le aziende via via stanno decidento di adottare la stessa estetica. Tuttavia, uno studio pubblicato sul Journal of Marketing Research, che ha analizzato (quasi) 600 loghi, ha scoperto che le aziende con immagini descrittive – quelle che riflettono il prodotto o il servizio in questione – tendevano ad avere un impatto più favorevole sulle percezioni del brand rispetto a quelle non descrittive, e avevano maggiori probabilità di aumentare le prestazioni del marchio.
L’enorme mole di marchi su cui inciampiamo quotidianamente può essere parte del motivo per cui il panorama del logo è diventato così contorto. Di conseguenza, lato nostro, anche i loghi che vediamo più spesso possono diventare ricordi vaghi. In effetti, uno studio condotto da Signs.com nel 2017 ha scoperto che appena il 16% dei 150 americani intervistati poteva ricordare accuratamente dieci famosi loghi. Pochini, eh? Forse, la vera domanda da farsi è: i loghi contano ancora? Proviamo a rispondere.
I loghi hanno la funzione base di aiutarci a differenziare rapidamente e facilmente i marchi. I buoni loghi creano associazioni positive per il marchio. eBay, ad esempio, è un semplice logo che aiuta a comunicare “divertimento” con i suoi colori brillanti, quasi come il disegno a pastello di un bambino. Twitter, con una semplice sagoma di un uccello blu, crea un collegamento linguistico con il nome del marchio, usando la figura familiare e amichevole di un uccello – che ci comunica anche che è facile da usare, non complicato, non troppo tecnico.
Oppure prendiamo il logo di Google: dietro la combinazione di colori apparentemente casuale c’è un significato nascosto. L’uso del verde per la “L” interrompe la sequenza dei colori primari, suggerendo che Google non rispetta le regole.
E sì, dietro alla semiotica e alla percezione dei loghi c’è un numero infinito di possibilità. Per via dei colori, ma anche delle forme: ad esempio, alcuni studi hanno dimostrato che associamo loghi angolari o arrotondati a mascolinità e femminilità basati su stereotipi profondamente radicati. Altri studi, invece, ci dicono che i loghi che contengono un senso di movimento potrebbero aumentare il coinvolgimento. E ancora: i loghi asimmetrici sembrano avere una personalità più eccitante (come il baffo di Nike, per capirci); quelli simettrici, invece, esprimono stabilità e autenticità.
Possiamo suddividere i loghi in tre grandi categorie:
- Testuali (Coca-Cola)
- Descrittivi (un’azienda di bibite ha un logo con una bibita)
- Non descrittivi (un’azienda di bibite ha un logo che non descrive i prodotti)
Nel già citato studio del Journal of Marketing Research, i ricercatori hanno notato che la maggior parte delle aziende tendeva a optare per loghi non descrittivi, mentre in verità erano i loghi descrittivi a incidere favorevolmente sulle valutazioni dei consumatori – aumentando la loro disponibilità all’acquisto. Con qualche eccezione: i brand che commercializzano prodotti o servizi associati a cose tristi o spiacevoli, come olio di palma, pompe funebri e repellenti per insetti. In questo caso, ovviamente, gli elementi di design descrittivo evocavano concetti troppo sgradevoli per le persone.
Secondo lo studio, le persone credono che i marchi con loghi descrittivi siano più autentici, una qualità sempre più ambita. In effetti, un sondaggio condotto dal Boston Consulting Group (BCG) ha rivelato che “essere autentici” è una delle qualità principali che attirerebbe gli americani (specialmente i Millennial) verso un brand. I loghi con elementi descrittivi sono più facili da capire, e non richiedono alcun carico cognitivo per capire cosa fa o vende il marchio.
Su Fast Company è apparso un approfondimento molto interessante in merito alla riprogettazione del logo per la piattaforma di streaming Twitch. Obiettivo strategico: valorizzare le radici comuni dell’ampio spettro della community dei videogamer.
La familiarità del brand è un fattore chiave nel determinare l’effetto positivo del design, soprattutto per i marchi emergenti, spingendo le nuove aziende a scegliere loghi più fluidi e “mobili”, e a utilizzare altri segnali visivi – come il colore – per favorirne il riconoscimento. Questo focus sul colore per attirare l’attenzione ha senso se consideriamo che l’annuncio mobile medio è visibile per soli 7,4 secondi, passando a 10,6 secondi sui desktop.
Le strategie sono diverse online. Glossier ha sfruttato il potere del “Millennial pink” nel suo marchio, creando una potente identità visiva che si estende al suo sito e al suo packaging. Monzo, invece, ha scelto una tavolozza di colori distintiva, e non convenzionale per una banca.
Altri marchi sono andati oltre i segnali visivi, investendo nel concetto del logo sonoro, un’evoluzione che riflette il crescente consumo di media audio: si stima che lo shopping vocale dovrebbe superare i 40 miliardi di dollari nel Stati Uniti e Regno Unito entro il 2022. Mastercard, per citarne uno, ha perseguito questa strategia – levando il nome dal suo logo visivo a favore di due cerchi di colore, come avevamo visto qui. Finora i risultati sembrano positivi; Visa, ad esempio, ha notato un aumento del 14% della percezione positiva del marchio.
A volte, diamo per scontato quanto Internet e gli smartphone abbiano cambiato la nostra relazione con i loghi. Abbiamo dozzine di loghi in tasca e li guardiamo continuamente – se pensiamo alle nostre app. Dunque, abbiamo senza dubbio un contatto intimo continuo con queste icone, molto più di qualche decennio fa. Detto questo, un buon logo rimane un segno che si fa riconoscere e ricordare velocemente.
Oggi i loghi possono assumere una risonanza culturale più grande che mai e diventare bastioni di un’identità più ampia, principalmente giovanile. Basta pensare alle contaminazioni tra streetwear e lusso; come tra Supreme e Louis Vuitton, che ha visto il suo logo modificarsi per diventare uno strumento capace di definire nuove identità.